Un abbraccio intenso, maschio, pulito, forte. Quello che quando accade tra gli uomini commuove…

Lembo di terra galleggiante disperso nel Mar Libico. Sbarco.
Mi incammino verso la spiaggia principale esposta a nord. Deserta. Cerco vita.
 
All’ombra della veranda di una vecchia casa di pescatori, una donna. Mi osserva, seduta assieme a due bimbe. Mi avvicino, la piú grande delle due piccole mi viene incontro porgendomi un sacchetto di albicocche essiccate, ne prendo una, é buona. La accarezzo e mi siedo accanto alla madre.
Contempliamo qualche minuto la baia solitaria in silenzio. Per ascoltarci, forse.
É israeliana. Ha gli occhi verdissimi come lo smeraldo. Il compagno é un professore ed ogni sette anni ha diritto ad un anno di ferie pagate a metà, hanno messo la loro abitazione in affitto e per un anno viaggeranno. Questa é educazione vera ed essenziale per i tuoi figli, la vita, la strada, il mondo, le dico. Sorride. Ha altri due figli maschi che ora sono in mare a pescare col padre.
 
Continuo a camminare ascoltando il vuoto che l’isola rilascia… non riesco a percepirla. A ridosso della spiaggia vedo una giovane ragazza minuta, poco più che ventenne, con uno zaino enorme. Mi avvicino. É svizzera, mi dice che non sa dove montare la tenda, le indico un posto riparato dal vento e poco umido. Sollevo lo zaino, é pesantissimo, chiedo se non é eccessivo il peso per lei. Mi guarda diritto negli occhi dicendomi che é la prima volta che fa campeggio libero e la prima volta che viaggia sola, picchiandosi il pugno della mano destra due volte sul cuore, dice che é una sfida per lei. Ricambio lo sguardo con la stessa intensità. Montata la tenda, prima che mi allontani, mi confida che teme un pò il buio.
 
La sera, dopo aver montato la mia di tenda in un promontorio isolato e ventilato dalla parte opposta dell’isola, torno nella spiaggia principale, sento di dover rassicurare la ragazza. Buio, c’é la tenda ma non lei. Musica di sottofondo arriva da dietro una duna dall’unica taverna aperta. C’é una festa con poche decine di persone, lei é li che danza musiche popolari assieme a gente locale, vino, violini, e battiti di mani. Quanta semplicità. Quanta bellezza.
 
Ritornando tra le dune, vedo due sagome sdraiate ed abbracciate vicino ad un faló ardente e tre piccole tende. Sono i genitori israeliani, mi offrono un bicchiere di vino, vengo accolto nel calore familiare. Ne ho bisogno. Contemplo per infiniti attimi i loro quattro figli che giocano spensierati, illuminati dal bagliore pulsante del fuoco.
 
Mi addormento a notte inoltrata pensando alla forza fisica ed al coraggio della giovane ragazza… immerso nella sinfonia di cicale sullo sfondo di una stellata esuberante.
 
La mattina seguente una lunga camminata mi porta in un piccolo deserto di sabbia ocra che si riversa in una baia iperventilata. Mi incammino verso l’unica sagoma che vedo. Un ragazzo osserva il mare seduto su una duna. É assorto, presente a se stesso, i lineamenti del volto morbidi e gentili, come il suo sguardo. É greco, si é fatto portare da una barca con dei viveri e starà qui solo per due settimane. Gli dico che dai suoi occhi traspare amore per questo luogo e che sembra essere in perenne meditazione contemplando il mare. Non comprende il senso di cosa stia dicendo, continua a parlarmi in modo gentile ed ipnotizzante, ed a muoversi lentamente, sincrono al respiro del mare, assorto nell’atmosfera magica della baia.
 
Nel sentiero del ritorno incrocio una ragazza mulatta, i tratti somatici sfumano da quelli caucasici a quelli africani. É robusta, forte. Impugna nella mano destra un bastone con cui cammina. Dice di ricordarsi di avermi visto sul traghetto, vive a Londra dove lavora nel marketing, é nata in Sud Africa. Alloggia in una delle poche locande dell’isola e durante il giorno la esplora a piedi. Devo compensare l’esubero di civiltà e tecnologia con viaggi solitari immersa nella natura, ho le radici africane dice, legate alla terra. Cosí dicendo stringe con forza il suo bastone. Percepisco l’energia terrena ancestrale che abita in lei. Mi indica un sentiero più breve per il ritorno.
 
Al tramonto, una piccola macchina rossa completamente impolverata mi sta per venire addosso. Dalla portiera esce una meravigliosa donna con il volto tracciato dall’età, grigi capelli, ma il bagliore degli occhi azzurri da ragazzina, come i jeans con i risvolti che porta. Sentiamo affinità, parliamo in mezzo all’unica strada polverosa e deserta. É tedesca, decenni fa un evento drammatico portò alla morte della sua amica e compagna di viaggi, a pochi metri da lei. Ho impiegato ventidue anni per trovare la forza di ripercorrere questo viaggio… viaggio anche dentro me, mi dice. Chiede se la accompagno a vedere la casa dove soggiornava con l’amica. Emana luminosità, candore. Una bimba curiosa alla scoperta del mondo. Ha sessantacinque anni. Potrei innamorarmi di una donna cosí.
 
Al risveglio del nuovo giorno mi é dato di poter assistere, e partecipare, al sorgere del sole che filtra i propri raggi su nuvole bianchissime animando luci che si infiltrano tra i rami dell’ulivo che mi accoglie… mentre il boato delle onde diventa sempre piu forte ed il vento cambia direzione. Ringrazio.
 
In mattinata intento ad osservare il piccolo porto privo di barche di pescatori, di cura e bellezza che caratterizzano di solito tutte le piccole isole, vengo avvicinato da un bel ragazzo alto con il fisico da nuotatore. Ha occhi luminosi, sgranati, fragili. Mi chiede delle informazioni sulle pinne da apnea ed altri dettagli… mi sta in realtà chiedendo altro.
Ha ventitré anni che non dimostra per la stazza fisica, l’aspetto virile, e la profondità d’animo,
madre inglese, papà romano. Ha una compagna con due figli avuti dal precedente matrimonio in Scozia. É in profonda crisi con lei per la libertà sessuale che questa pretende e che lui, anima pura, si sforza di dare distruggendo la propria integrità. Parliamo tutta la mattinata. Ci salutiamo con un abbraccio intenso, maschio, pulito, forte, quello che quando accade tra gli uomini commuove. Mi ringrazia per il supporto, io lo ringrazio per l’immensa freschezza e spontaneità che mi ha donato. Lo accompagno su un promontorio dell’isola che ama, si incammina verso l’orizzonte ventoso del mare con le braccia aperte ed occhi nuovi.
 
Nel tardo pomeriggio su uno scoglio poco lontano dal porticciolo vedo una ragazza, é assorta nella lettura, capelli, sabbia e pagine al vento. Leggo da lontano sulla copertina Keruac. Mi avvicino e le chiedo se sta leggendo On the road. Si toglie le cuffie e annuisce. Parliamo per ore osservando l’infrangersi delle onde sugli scogli. É francese, trentacinque anni, sta cercando l’ispirazione per concludere la composizione di un opera teatrale a cui ha dedicato 5 anni della sua vita. É intelligente, sensibile, creativa, folle. Estrae dal portafogli il biglietto da visita della sua compagnia teatrale, scorgo un accendino. Le chiedo se fuma. Solo marijuana tre quattro volte al giorno. Le dico che sarebbe bello e virtuoso potesse scegliere lei di fumare saltuariamente, una volta al mese, all’anno o non farlo proprio. Libera di scegliere. Annuisce mi dice che tutti hanno delle dipendenze e le esprimono in modalità differenti. Le dico che non ha bisogno di stimoli esterni, che é gíà immensamente creativa. Mi risponde che é veleno anche l’aria che respiriamo in città. Le dico, sorridendo, che é una cogliona. Si rimette immediatamente le cuffie e va verso la spiaggia ballando. Geniale. La seguo. Balliamo fino al tramonto la musica del mare. Senza fumare.
 
Terza notte. Mi addormento con la tenda aperta, inebriato dall’aria fresca che viene dal mare, la sinfonia ciclica e potente delle onde ed un braccio disteso su Pathos, mio angelo, sdraiato accanto a me. Mi sento protetto. Ricco. Sereno. E innocente come un bimbo.
 
@Gavdos Island

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